Quest: Crociera con delitto - Primo Gruppo

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    In questo topic ruolerà il primo gruppo che ricordiamo essere formato da:
    • William Shakespeare
    • Remington Roche
    • Adrienne Dantès
    • Laerte Grimaldi

    Siamo a bordo della Marie Antoinette. Sebbene sia il 31 Ottobre, la temperatura autunnale è piacevole. Il cielo è sereno e si scorge la luna nella sua pienezza. La nave è salpata da più di un'ora, ma siamo ancora a Parigi: le guglie della cattedrale sono coperte da alti edifici e dalla notte, ma la tour Eiffel splende nella sua luce blu.

    La notizia della morte della celeberrima étoile Blandine Deschamps si è sparsa per tutta la nave, tuttavia non ha stemperato in tutti il desiderio di divertimento.

    I sospettati hanno ottenuto il permesso di abbandonare la sala da pranzo di prima classe ed ora possono girare indisturbati per i corridoi e i locali della Marie Antoinette.

    Vi ricordiamo che se volete interrogare uno dei png legati a Blandine o un membro dell'equipaggio dovete postare le vostre domande dirette (senza quindi un post di role) QUI. Riceverete una risposta da parte del master che ruolerà il PNG e dopo potrete inserire il risultato della vostra indagine on role qui sotto.

    Rispettiamo l'ordine di ruolata che si formerà al primo turno: siete quindi liberi di postare con chi volete in questo momento e successivamente seguiremo tale ordine.

    Per qualsiasi dubbio o domanda scrivete in QUESTO TOPIC.

    Fateci sapere quale costume indossa il vostro personaggio! Siete liberi di inserirlo nel codice ruolata, di descriverlo nel post di gioco oppure in spoiler.

    BUON HALLOWEEN


     
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    Laerte Grimaldi
    26 anni - Musicista Vagabondo - Londra - Viaggiatore
    “Ultimate freedom. An extremist. An aesthetic voyager whose home is the road.„
    D
    a quando aveva scoperto di essere in possesso del gene di Chronos e quindi di poter viaggiare nel tempo, Laerte non si era più fermato. Possedeva l'animo del viaggiatore: amava il contatto umano, amava vedere il mondo, conoscere le persone, le loro storie. Non c'era persona più adatta di lui a ricevere in dono un simile privilegio. E l'uomo sfruttava al massimo quella sua capacità. Viaggiava sia sul globo che nel tempo e accresceva il proprio bagaglio culturale. Laerte avrebbe voluto portare una macchina fotografica, una cinepresa per immortalare i suoi viaggi, ma sapeva bene che non poteva farlo. Era impossibile portare oggetti del presente nel passato, anche se il salto temporale avesse riguardato una manciata di giorni. L'uomo aveva ben chiare in mente le regole dei viaggi nel tempo, sebbene egli avesse un animo poco incline al conformismo e al rispetto delle regole. Aveva studiato a Cambridge e aveva collezionato un'infinità di richiami e rimproveri per la sua uniforme sempre in disordine. La cravatta Laerte non la allacciava mai. Ma qui non si trattava di una cravatta: il Viaggiatore sapeva più che bene quanti rischi correva a interferire con il passato. Il ruolo di spettatore, però, non sempre gli andava bene. Egli voleva vivere quelle epoche storiche nelle quali si trovava, non voleva semplicemente osservarle da lontano; desiderava sentire sulla propria pelle il loro peso. Quindi era necessario che imparasse a camuffarsi e a non dare nell'occhio. Il musicista aveva imparato bene la lezione, poiché era riuscito a trovare una sorta di equilibrio tra l'esposizione che poteva concedersi e il velo di riservatezza necessario. Non dava nell'occhio, dunque, ma poteva partecipare alla vita del periodo storico nel quale si trovava. Aveva raggiunto il quarto livello di esperienza, e non aveva mai ricevuto un solo richiamo. "Perché l'Istituto non sa" si disse il Viaggiatore in un misto tra colpa e determinazione. Se Clarissa Spencer avesse saputo di Evanna Turner, non solo Laerte avrebbe perso il suo status di esperienza, ma avrebbe anche perduto per sempre la capacità di viaggiare. C'era un antidoto che veniva somministrato ai Viaggiatori indisciplinati e l'uomo era piuttosto certo che portare nel 2016 una donna nata nel 1800 rientrasse tra quelle regole che non dovevano essere infrante. Aveva visto la Spencer una volta sola, Laerte, verso la fine del suo periodo di affiancamento ad un tutor quando aveva solo diciotto anni, ed era rimasto colpito dall'aria austera e lievemente folle della donna. Sembrava una fanatica o, quanto meno, questo era quanto Laerte aveva dedotto. Raramente egli si lasciava suggestionare dalle prime impressioni, e si imponeva di conoscere una persona prima di avere un'opinione sulla stessa, ma la Spencer non sembrava proprio quel genere di persona che si desiderava conoscere. Non avrebbe capito, Laerte lo sapeva, la necessità che lo aveva spinto a portare Evanna con sé. Lo aveva fatto per salvarla: se fosse rimasta nella Londra vittoriana, sarebbe morta come la sua famiglia. Sì, era invaghito di lei. Invaghito era un eufemismo, per dirla tutta Laerte era cotto di Evanna. Si erano conosciuti durante una festa in maschera e da allora egli aveva cominciato a frequentare un po' troppo spesso quel periodo storico. Si era sviluppato un particolare rapporto tra di loro, tanto che ora Evie viveva sulla sua barca sul Tamigi. Voleva lavorare, quella straordinaria donna nata due secoli fa, per non essergli un peso. Sebbene le innovazioni tecnologiche la stupissero ancora (il musicista non avrebbe mai dimenticato la sua espressione quando le aveva mostrato la doccia, o quando aveva acceso il piccolo televisore), Evanna voleva immergersi nel mondo del lavoro. Aveva una mente moderna, era una donna moderna e forse era per questa ragione che l'Istituto ancora non aveva scoperto nulla di quanto successo. Laerte, dal canto suo, aveva cercato di spiegare il più possibile ad Evie in modo tale da scongiurare l'eventualità che qualcuno venisse a sapere della sua terribile effrazione. Tuttavia, se anche fosse stato costretto a prendere l'antidoto, se anche non avesse più potuto viaggiare, il musicista avrebbe preso la stessa decisione ancora, ancora ed ancora. Non avrebbe mai lasciato Evanna al suo destino, non l'avrebbe lasciata nelle mani degli assassini della sua famiglia. L'avrebbe salvata anche se quel viaggio nell'Ottocento sarebbe stato il suo ultimo.
    Ma Laerte aveva la possibilità di viaggiare ancora, e quindi eccolo pronto per un nuovo salto temporale. Sebbene il suo status gli permettesse di portare dei passeggeri con sé, l'uomo aveva deciso di vivere quell'esperienza da solo e di non portare Evie. Per gli umani, infatti, spostarsi nel tempo non era cosa da nulla e il loro fisico risentiva con spossatezza e un leggero senso di nausea che scompariva solitamente dopo poche ore. Evie era al lavoro. A Laerte non piaceva il capo della donna: Carter Clayton, un dongiovanni. Peggio di un dongiovanni. Laerte stesso aveva avuto numerose donne, aveva avuto relazioni superficiali e passeggere, colpa, probabilmente, del suo problema ad impegnarsi e a vivere relazioni lunghe (con Evie era diverso probabilmente perché il loro rapporto era a metà strada tra una relazione moderna e una vittoriana. Raramente il loro contatto sfociava in un rapporto fisico, tanto erano rari i loro baci, quindi Evie era quasi come una musa, per l'uomo). Ma Carter era dipendente dal sesso. E un seduttore nato dotato di un aspetto che lo avvantaggiava nel farsi largo nel cuore e nel letto della sua vittima. Naturalmente, aveva messo gli occhi su Evanna. Il musicista non avrebbe mai chiesto alla donna di cambiare lavoro, quindi si limitava a lanciare occhiate in tralice all'avvocato ogni volta che andava a prendere Evie all'uscita dall'ufficio. Erano piccole sorprese che le dedicava, non desiderava certo controllarla, difatti la attendeva dall'altro lato della strada e assieme tornavano al Nautilus raccontandosi la giornata.
    Era la notte di Halloween e Laerte aveva ricevuto inviti da parte di numerosi suoi amici, ma li aveva declinati in favore di un trentun Ottobre da passare a Roma, durante il grande Impero Romano. Il Medioevo rappresentava le Colonne d'Ercole dei viaggi nel tempo: nessuno si era mai spinto più oltre, e Laerte desiderava abbattere quel limite. Italiano di nascita, desiderava ammirare la grandezza del suo popolo. Si poteva dire che fosse il suo sogno, la sua massima aspirazione. Fortunatamente nell'ultima settimana di Ottobre i costumi in maschera si sprecavano, così l'uomo era riuscito a trovare una tenuta da gladiatore che lo soddisfacesse e l'aveva noleggiata. Quando il Viaggiatore riaprì gli occhi, realizzò subito che il salto temporale non era andato a buon fine. Probabilmente aveva davvero osato troppo nel voler andare così indietro, ma, quanto meno, fisicamente sembrava stare bene. Non era nel 100 dopo Cristo, ma sembrava quasi la sua epoca, sebbene vi fossero degli elementi completamente fuori posto. Era a bordo di una nave, circondato da persone in costume. Parlavano di titoli nobiliari, di Re di Francia. Diede un rapido sguardo alla città che si apriva innanzi ai suoi occhi e vide modernità e passato. La sua curiosità nei confronti di quel nuovo universo si fece più accesa, più dirompente. Laerte voleva sapere, voleva svelare ogni segreto di quella nuova Parigi. C'era stato, a Parigi. Sia nel passato che nel presente: era una delle prime città che aveva visitato quando aveva cominciato a visitare il mondo e si era innamorato di quella capitale dall'aria così romantica. Parlava il francese, non bene quanto l'inglese che ormai era divenuto la sua prima lingua, ma nel collegio svizzero dove era stato mandato ad undici anni dai suoi genitori aveva studiato anche quell'idioma, dunque l'uomo non temeva gli impicci della comunicazione: sarebbe riuscito a capire e a farsi capire. Si trovava sul ponte superiore e decise di entrare sottocoperta, così imboccò uno dei corridoi, in esplorazione.
    Kit Harington as Laerte Grimaldi © les misérables rpg


    Lo lascio in stand-by e lo manderò da chi lo vorrà al prossimo giro :shift:
     
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    William Shakespeare
    30 anni - Aristocrazia - Anfisbena - Conte

    “Sei tu la parte migliore di me stesso, il limpido specchio dei miei occhi, il profondo del cuore,
    il nutrimento, la fortuna,
    l’oggetto di ogni mia speranza,
    il solo cielo della mia terra, il paradiso cui aspiro.„

    C
    aos, questo regnava sulla Marie Antoinette; un caos che, dal ponte dell'aristocrazia si sarebbe ben presto diffuso anche ai piani inferiori. La crociera, iniziata in maniera tranquilla, era diventata ben presto teatro di un orribile delitto, che aveva visto coinvolta Blandine Deschamps, donna la cui fama non era estranea a William, poichè sua moglie era stata studentessa della scuola per un brevissimo periodo della sua vita, prima che la salute le imponesse di non dedicarsi ad alcuna attività fisica. Invitato a prender parte a quella sontuosa cena per fare le veci della moglie, il Conte d'Artois non si era presentato per più di una ragione: la prima riguardava il modo in cui avrebbe voluto trascorrere quella serata, la seconda la sua identità di copertura. Essendo salito sulla nave da crociera per quella festa da solo, senza compagnia, aveva deciso di passare la serata non sul ponte dedicato all'aristocrazia, ma bensì assieme ai borghesi e, di conseguenza, presentandosi alla cena avrebbe svelato al sua identità - o, quantomeno, il suo ceto sociale - ai commensali e a coloro che si aggiravano su quel ponte, cosa che avrebbe preferito evitare. In secondo luogo, per i commensali di Blandine Deschamps e per la stessa Blandine, egli era solo un nome e William D'Artois non aveva né un volto né una voce per loro...ma per uno degli invitati, Shakespeare un nome e una voce l'aveva...cosa sarebbe successo se quel qualcuno si fosse presentato alla cena e avesse riconosciuto nel tono di voce del Conte d'Artois quello di un borghesotto qualsiasi? Meglio non rischiare. Così, il Conte d'Artois era salito sulla Marie Antoinette sì con un biglietto dell'Aristocrazia ma si era sin da subito trattenuto nelle zone riservate alla borghesia, per una ragione ben precisa: seppur mascherato e a volto coperto come molti altri tra i presenti, William cercava una persona in particolare, una chioma bionda che, nella notte di qualche settimana prima, aveva incrociato i suoi passi per le vie della capitale. Aveva accompagnato a casa quella giovane per proteggerla da un gruppo di ubriachi che si aggiravano nei pressi della sua Villa ma da allora non l'aveva più vista. Ricercarla forse non era saggio, ma l'animo del Conte non riusciva a tenerlo lontano da quella ragazza dall'animo dole e forse un pò ingenuo che aveva incontrato nell'oscurità, quando era Shakespeare e non William a muoversi e a parlare... ma anche se era il sé aristocratico quello che era salito sulla Marie Antoinette, lì il confine tra le sue due identità diveniva labile proprio grazie a quella maschera che indossava, permettendogli di oscillare tra quelle due realtà in maniera pericolosa ma appagante. Per quella cena, William aveva scelto tutt'altro abito, un vestito d'altri tempi: avrebbe voluto impersonare un cantore, un bardo, e quello era al'abito che aveva commissionato. Il suo sarto, tuttavia, gli aveva recapitato tutt'altro costume e troppo tardi perchè lui potsse sostituirlo: il costume che si era ritrovato ad indossare era di stampo futuristico, realizzato in un materiale molto più costoso rispetto a quello che aveva richiesto. Personaggio a lui sconosciuto, era stata sua figlia Cècile a dirgli di chi si trattava: Loki, il Dio dell'Inganno, fratello del protagonista di alcuni fumetti che aveva iniziato a leggere. "Robaccia da borghesi" aveva commentato Lucille una volta, ma non aveva mai imposto alla figlia di non leggerli più: non ne aveva potere, non finchè William era d'accordo. Probabilmente per quella ragione, lui si era ritrovato con quel costume per le mani: sua moglie, per ripicca, doveva aver modificato l'ordine; l'uomo ne aveva avuto la conferma quando si era presentato sulla porta della sua stanza con un costume che non era il suo e che gli era costato almeno il doppio. L'aveva fulminata con lo sguardo, ma non le aveva detto nulla: si era limitato a ripresentarsi prima di uscire dalla Villa per mostrarsi con l'abito indosso; abito che, indubbiamente, gli donava, nonostante lo mettesse profondamente a disagio. Non ritrovava sé stesso in quel costume e, di conseguenza, non avrebbe potuto sentirsi in pace con il suo animo partecipando alla festa vestito in quel modo; piuttosto che rinunciare, tuttavia, lasciandola vinta a Lucille, si era recato comunque alla festa. L'unico suo rimpianto era stato quello di dover lasciare a casa Cècile che, ammalatasi un paio di giorni prima, necessitava di risposare e di non fare sforzi.

    Durante la prima ora, le ricerche di William non avevano avuto successo e l'uomo quasi non aveva toccato cibo, troppo nervoso per sentire i morsi della fame. Aveva camminato avanti e indietro su e giù per la nave, alla ricerca di quella ragazza, senza sapere come trovarla: poteva solo sperare che ella fosse a viso scoperto o che il fato rimettesse nuovamente entrambi l'uno sulla strada dell'altro. Ma proprio quando, tornato sul ponte dedicato alla borghesia, William redeva di aver finalmente visto sparire verso la zona riservata all'aristocrazia una ragazza la cui corporatura e i cui movimenti gli ricordavano quelli di lei, era scopiato il caos: egli aveva cercato di seguirla al piano di sopra e vi era riuscito, ma prima di poter sentire la sua voce per dar conferma alle sue ipotesi, la folla li aveva separati. La notizia della presenza di un assassino sulla nave, infatti, aveva gettato il panico tra alcuni dei partecipanti, mentre altri erano rimasti del tutto indifferenti. William, ormai tornato in quello che sarebbe dovuto essere il suo habitat, aveva interrotto la sua febbrile ricerca per fare il punto della situazione: non conosceva Blandine Deschamps ma il suo senso del'onore non gli avrebbe mai permesso di ignorare quanto acaduto per dedicarsi alla sua ricerca. Il suo cuore premeva per trovare quella sconosciuta che tanto lo aveva impressionato tempo addietro, ma se avesse ascoltato il cuore, inevitabilmente si sarebbe ritrovato ad incolpars in seguito. Così seppur riluttante, William cercò di guardarsi attorno per cercare non più Adrienne - questo il nome della giovane - ma bensì qualche altra conoscenda del suo alter ego borghese. Sapeva che, dopo un breve interrogatorio, coloro che avevano cenato con Blandine erano stati lasciati liberi di aggirarsi per la zona riservata all'aristocrazia; imboccato uno dei corridoi, diretto alla sala da pranzo, William incontrò colui che cercava fermo sulla porta che dal passaggio conduceva nella sala da pranzo: volto sconvolto, incarnato pallido, Brice Deschamps pareva il fantasma di sé stesso. William lo aveva conosciuto durante una delle sue soritte notturne nei pressi della Sorbonne: aspirante medico, non era un animo affine a Willam ma comunque qualcuno con cui poter intrattenere conversazioni piacevoli, di tanto in tanto. ...Brice? Stai bene? Domanda di circostanza, domanda che il galateo imponeva sebbene la situazione fosse chiara agli occhi di tutti Hai idea di chi potrebbe essere stato?una domanda scontata, una domanda che probabilmente non arebbe ricevuto una risposta esaustiva: l'emotività del momento poteva giocare brutti scherzi... e, sorpattutto, il Conte d'Artois non poteva essere certo che Brice non fosse coinvolto. Egli, tuttavia, non gli sembrava un assassino: sapeva che non era particolarmente affezionato alla nonna - di cui non gli aveva praticamente mai parlato - ma non credeva possibile che egli arriasse ad uccidere... non un medico, non qualcuno che aveva deciso di dedicarsi a salvare delle vite... sebbene le conoscenze di uno studente di medicina potessero permettere a Brice di compiere un delitto pulito... S-sto bene una bugia mal accontata, a detta di colui che vestiva i panni el Dio degli Inganni: poteva trattarsi di una recita, ma a William sembrava troppo ben recitata per essere una reazione costruita ad arte. Non lo so. Tutti amavano la nonna. Insomma, anche se è... Era strana, tutti le volevano bene Istintivamente, William portò una mano sulla spalla del conoscente, pur non sapendo se egli lo aveva riconosciuto per il borghese inglese in viaggio a Parigi. Fatto ciò, il Conte d'Artois si azzardò a lanciare un'occhiata all'interno della Sala da pranzo, prima di porre la domanda successiva Il cameriere che ha servito tua nonna è lo stesso che ha servito anche voi altri?
    È sempre stata la stessa...un cenno del capo, nulla di più, per indicare una cameriera presente in sala. Lentamente, William lasciò ricadere la mano lungo il fianco, liberando la spalla dell'uomo, puntando gli occhi sulla cameriera: era consapevole del fatto che riempire di domande incalzanti Brice non sarebbe servito a nulla; così, ripromettendosi di tornare eventualmente a fargli altre domande successivamente, dopo averlo ringraziato ed avergli fatto le condoglianze, William lo lasciò rientrare in sala da pranzo. Rimasto solo ad indugiare nel corridoio, indeciso se entrare a sua volta in sala da pranzo o se rimanere all'esterno, l'uomo non potè fare a meno di lanciare un'occhiata alle persone in maschera che transitavano di lì; poche, forse anche a causa di quanto era successo, ma qualcuno c'era. Chiedere ad altre maschere avrebbe aiutato? O gli conveniva entrare nella sala?
    Tom Hiddleston as William Shakespeare © les misérables rpg

    ABITOe MASCHERA
    Siccome sono entrambi in un corridoio, se nessun altro lo reclama, William è disponibile a parlare con Laerte^^
     
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  4. Remington Roche
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    Remington Roche
    21 anni - Borghese - Viverna - Musicista
    “Era il tempo migliore e il tempo peggiore, la stagione della saggezza e la stagione della follia, l'epoca della fede e l'epoca dell'incredulità, il periodo della luce e il periodo delle tenebre, la primavera della speranza e l'inverno della disperazione. Avevamo tutto dinanzi a noi, non avevamo nulla dinanzi a noi.„
    H
    alloween non rientrava tra le feste preferite di Remy però era inevitabilmente una bella scusa per ritirare fuori maschere spaventose, scherzi anche di pessimo gusto nonchè racconti e figure folkloristiche. La libreria per quella sera era rimasta buia, illuminata solo da candele e zucche intagliate ed era stata rimpita di finte ragnatele. "Più che un fantasma sembri uno che è appena caduto nella farina." Il ragazzo si era appena presentato con il suo travestimento quando quella strega, in tutti i sensi, di sua sorella se n'era uscita con quel commento ironico. "Tu invece ti sei scordata il naso adunco, megera." Ribattè altrettanto ironicamente per poi abbassargli il cappello a punta verso il basso. "Volete davvero andare a quella festa da snob?" Domandò criticamente uno dei gemelli mascherato da dottor Jekyll. "Certo che sì. E non è una festa da snob visto che è aperta a tutti." Gli rispose Cedric nei panni del dottor Frankenstein. "Mi scusi, da dottore a dottore, ma io e la mia controparte malvagia credo propio che accompagneremo i due piccoletti a fare dolcetto e scherzetto. Sempre se non volete ucciderli di noia, si intende." Ribattè Roddy dando una veloce occhiata a Ronny che invece si era mascherato da Mr. Hyde ed era intento ad annuire con un sorrisetto furbastro sul volto mentre dava ragione al fratello. "Già! Forza marmocchi, all'attacco delle caramelle e devastiamo questa città di scherzi!" Sbraitò Mr. Hyde esortando i due cuginetti acquisiti a seguirlo fuori di corsa. Pochi secondi e i quattro sparirono per le strade. "Sempre molto maturi quei due, eh." Affermò sarcasticamente Beatrix per poi lasciarsi andare a un sospiro. I due inglesini parevano davvero senza speranza.
    Alla fine però il bizzarro gruppetto composto dal Dottor Frankeinstein, la sua creatura, una banshee, una strega e un fantasma vittoriano si diresse e arrivò sulla nave da crociera Marie Antoinette. La famigliola riunitasi ad un tavolo nella zona destinata alla borghesia e alla milizia parlava del più e del meno e pareva divertirsi molto a interpretare i personaggi e le creature dalle quali si erano mascherati.
    In particolare Cedric pareva starsi divertendo un mondo a fare la parte dello scienziato pazzo e il fatto che suo padre gli fosse venuto
    incontro prendendo il ruolo di Frankenstein non poteva che migliorare il tutto. "Cèdric, proviamo ad andare nel piano dell'aristocrazia?" Propose Remy al fratello maggiore confabulando con lui all'orecchio. Loro sorella li guardò in modo sospettoso. "A fare cosa? E comunque oggi devi chiamarmi dottor frankeinstein." Rispose lui prima che, guidato dal movimento del fratellino, il suo sguardo cadesse sul violino. Cèdric annui complice. Così i due Roche si allontanarono dal loro tavolo e, alla fine, con un pò d'astuzia riuscirono ad arrivare alla meta. Cedric sgaiattolò a sedersi ad un tavolo mischiandosi tra la folla mentre Remy si diresse elegantemente col suo candido bastone da passeggio al centro della sala, poggiò il bastone a terra e prese e posizionò il suo violino. Non un parola uscì dalla bocca e semplicemente si mise lì come se quel fantasma fosse appena comparso ad intrattenerli con quella sua misteriosa melodia spettrale. Egli notò la piccola orchestra smettere di suonare lasciando posto alla sua musica lanciandogli diverse occhiatacce di risentimento che non sfiorarono nemmeno il fantasma vittoriano. Aveva quasi finito la sua esibizione quando notò una cameriera indirizzarsi trafelata dal direttore di sala ma non gli prestò troppa attenzione per non perdere concentrazione sull'eseguire correttamente la sua melodia. Quando finì fece un elegante inchino mentre qualcuno gli donava i suoi applausi. Tuttavia solo in quel momento si accorse di qualcosa di strano, le porte della sala vennero chiuse, i vari ufficiali sembravano fin troppo attivi e... suo fratello. Che fine aveva fatto Cèdric!? Profondamente preoccupato lo cercò fin quando finalmente lo vide tenuto fermo da un ufficiale. "Mi lasci! Sono innocente!" Sbraitò il dottor Frankeinstein mentre tentava invano di liberarsi dalla presa. "Ufficiale, cosa è successo? In ogni caso mio fratello è innocento, lo giuro, non farebbe del male a una mosca." Si intromise Remy tentando di tirare il fratello fuori dai guai. "C'è stato un omicidio e vostro fratello non solo era vicino al tavolo dei Deschamps ma ha anche tentato la fuga prima che io lo fermassi. Ad ogni modo chiunque era qui è ufficialmente tra i sospettati in assenza di prove." Rispose l'uomo della milizia. "L' ho vista e sentita morire a pochi passi da me, ero soltanto spaventato." Si giustificò Cedric senza ottenere alcuna attenzione dall'uomo il quale si limitò a tenerlo stretto mentre il ragazzo si agitava, tentando di riottenere la libertà, prima di fermarsi sconfitto. "Voi non dovreste essere qua, dico bene?" Chiese poi l'ufficiale scrutando attentamente i due. "Sissignore. Siamo borghesi e io volevo solamente far sentire la mia musica." Ammise il ragazzo prima che entrambi venissero messi sotto interrogatorio nonchè sotto accusa come ogni individuo presente nella sala nel momento dell'omicidio. Cedric pareva davvero giù di morale, forse aveva davvero paura di essere ritenuto colpevole visto la sua estrema vicinanza al tavolo dove si era consumato il delitto e, visto che gli innocenti accusati di azioni da loro mai compiute non ne mancavano la sua preocupazione era più che giusta. "Tranquillo Cedric, troverò il colpevole e così dimostrerò l'innocenza di entrambi." Disse con convinzione per poi dirigersi verso il corridoio mentre la nave procedeva il suo percorso lungo la Senna.
    Harry Lloyd as Remington Roche © les misérables rpg


    Maschera

    PS: Ora sistemo con calma tutti i vari strfalcioni.


    Edited by Remington Roche - 2/11/2016, 02:06
     
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    Adrienne Dantès
    23 anni - Borghesia - Anfisbena - Sarta
    “Due pezzi di puzzle. Fatti l'uno per l'altro. Da qualche parte del cielo un vecchio Signore, in quell'istante, li aveva finalmente ritrovati. «Lo dicevo Io che non potevano essere scomparsi.»„
    I
    l costume di Adrienne aveva riscosso consensi nell'area deputata alla borghesia. Molte donne, appartenenti alle più disparate corporazioni, lavoratrici e mogli, le si erano avvicinate per domandarle dove avesse acquistato un abito così ben curato. Sembrava confezionato a mano e solo i più ricchi borghesi potevano permetterselo. Oltre, naturalmente, ai membri dell'aristocrazia. Ma Adrienne non aveva speso che il denaro per la stoffa, poiché quel costume che riportava in vita lo stile degli anni '20 se lo era cucito da sola. Non era una stilista, Adrienne, ma un'abile sarta e così da un mezzo busto su una rivista aveva ricavato il proprio abito. Era rimasta soddisfatta del risultato finale, soddisfazione rara considerando quanto esigente e puntigliosa fosse la donna con i suoi lavori. La stoffa era di buona qualità e Madame, la titolare della sartoria per la quale lavorava, le aveva concesso uno sconto vantaggioso. La proprietaria aveva un debole per Adrienne: non era un mistero che la giovane proveniente dall'Alta Savoia fosse la sua dipendente prediletta. Si era subito distinta per il suo occhio e per il suo senso estetico. Cucire bene non era poi così difficile: la pratica affinava la tecnica, ma sapere cosa vestisse bene, quello era un talento che non molti possedevano. Adrienne era in grado di mettere in luce la bellezza. Non a caso Madame talvolta la chiamava Coco, come Coco Chanel: Adrienne usava lo stile e la moda per valorizzare le sue clienti. Era la donna che brillava, messa in luce dall'abito, e non l'abito stesso. Adrienne quindi godeva quasi di un trattamento privilegiato che le aveva permesso di tenere per sé quel tessuto perfetto per ricalcare lo stile dei ruggenti anni Venti. Era un periodo storico che Adrienne aveva sempre apprezzato: cambiamenti e modernità, la donna che finalmente emergeva, e uno stile fresco che tuttavia manteneva l'eleganza del periodo precedente. Aveva subito saputo, quindi, che avrebbe indossato i panni di una donna del 1920 alla crociera in maschera. Alcuni dei pubblicizzanti avevano chiesto a Madame il permesso di apporre un volantino sulla vetrina della boutique e così Adrienne venne a sapere dell'evento organizzato dalla corona. Erano estremamente rare le occasioni che permettevano l'incontro, in veste non più formale, tra le varie classi sociali e la donna non poté non approfittarne per vedere più da vicino un mondo che le era precluso. Istintivamente il suo pensiero era andato a William, l'uomo che aveva incontrato per volere del destino sulla via di ritorno a casa e si era chiesta se lo avrebbe incontrato a bordo della Marie Antoinette. Aveva allontanato quei pensieri, dandosi della sognatrice: Adrienne sapeva bene quanto in fretta la sua testa sulle nuvole si perdesse e non aveva intenzione di darle corda, questa volta. Non partecipava alla crociera da sola: in una discreta maschera veneziana vestiva Margot, una delle prime persone che Adrienne aveva conosciuto quando si era trasferita a Parigi. Margot lavorava in una frutteria, ed era una ragazza esuberante ed imprevedibile. In sua compagnia, Adrienne si trovava sempre a fare cose che non avrebbe mai pensato di fare. Non che Adrienne fosse incline a lasciarsi manipolare, ma stare vicino alla fruttivendola sembrava annullare molti freni inibitori. Quella sera, però, Margot era più controllata del solito: desiderava approfittare dell'evento per incontrarsi con l'uomo che amava. Operaio povero in canna, mal visto dalla famiglia di Margot che aveva messo il veto sulla relazione. La fruttivendola non riusciva ad opporsi alla famiglia e temeva un netto distacco, così conduceva una relazione clandestina con l'uomo. Margot aveva dunque trascinato Adrienne nell'area adibita alla terza classe, dove aveva subito trovato il suo uomo. La sarta era rimasta in disparte mentre i due si stringevano tra le braccia, sussurrandosi parole d'amore. Mani dietro la schiena, quasi appoggiata ad una parete, e sguardo rivolto altrove, Adrienne assisteva alla felicità dell'amica. Quando uno dei passeggeri di terza classe recuperò la propria fisarmonica e cominciò a suonarla, diede vita ad una piccola orchestrina: un violinista e un chitarrista si unirono a lui, eseguendo un tipico brano popolare che coinvolse svariati passeggeri a riversarsi al centro della sala per danzare. Margot trascinò Adrienne tra la folla, ballando libera tra l'operaio e l'amica. Si stava divertendo, la sartina, prima che la frenesia la schiacciasse. Troppe persone accalcate attorno a lei, la musica diveniva sempre più ritmata, sempre più frenetica, e la donna sostituì a quei volti felici le maschere distorte dall'odio degli abitanti del borgo che l'avevano aggredita anni prima. Si sentì letteralmente sopraffare da quella folla e ebbe come l'impressione che fossero lì per lei, che volessero stringersi attorno a lei per toglierle il respiro. Frammenti della crocifissione attraversarono la sua mente mentre smetteva di ballare e si fermava in mezzo alla stanza. Sentì la voce attutita di Margot domandarle se stesse bene, ma Adrienne era ormai preda delle proprie emozioni e si era estraniata dalla realtà. Sentiva il suo corpo accelerarsi: cuore, mente, sensi, polmoni. Tutto era più veloce e sfuggiva al suo controllo. Aprì la bocca, portandosi una mano al ventre. «Non respiro» sussurrò talmente debolmente che Margot non riuscì ad udirla. L'amica le si avvicinò preoccupata, portando il suo volto ad un soffio da quello della sartina: «Adrienne, cos'hai?» La donna si limitò a scuotere la testa. «Ho bisogno d'aria.» E scappò, letteralmente, nel corridoio. Chiuse la porta dietro di sé, appoggiandovisi con le spalle. Le sue mani tremavano mentre boccheggiava cercando di respirare. Sentiva il corsetto indossato sotto l'abito stringerle il petto. Cercava di dilatare i polmoni, ma l'ansia le impediva di percepire che, in realtà, stava già respirando. "Non respiro" pensò erroneamente la sua mente. Sentiva la cacofonia della festa poco distante da sé e la sovrapponeva alla cacofonia che la assordava nei suoi ricordi. Sentì bruciare i palmi delle mani, laddove i chiodi avevano penetrato la sua carne. Incontrollata e tremante, si tolse i guanti che lasciò cadere a terra. Le sue dita parevano aver perso quella fermezza necessaria per il suo lavoro. Osservò le cicatrici sui palmi e vi passò sopra i polpastrelli, come se stesse cercando di lavarsi via una macchia di vernice.
    "Non respiro" ripeté allarmata la sua mente. "Non ci riesco." Appoggiandosi al corridoio, risalì la Marie Antoinette, raggiungendo il ponte superiore dove sperava l'aria fresca della notte l'avrebbe aiutata. Il suo petto era squassato da spasmi involontari mentre Adrienne perdeva lucidità e si lasciava trascinare nel passato.
    "Non è reale. È passato. Stai bene" parole vuote che disperatamente la sartina cercava di rivolgersi per ritrovare se stessa. Si sentiva toccare da mani aggressive. Si sentiva strattonare, si sentiva schiacciare. Le sue gambe cedettero ed Adrienne si ritrovò accucciata a terra, il volto affondato sulle ginocchia, preda disarmata del ricordo. Un profondo singhiozzò venne coperto dal cicaleccio proveniente dalla lussuosa sala da pranzo dei passeggeri di prima classe, dove gli ufficiali avevano appena terminato di interrogare i presenti. Chiudere gli occhi, schiacciare il capo contro le ginocchia la aiutò a ritrovare l'equilibrio. Non percepiva più il mondo vorticare attorno a sé. Si impose di non concedersi più quelle profonde boccate d'aria, ma di respirare normalmente, senza successo. Si sentiva ancora soffocare. Le sue dita tremanti si aggrapparono alla stoffa del vestito, sentendo i laccetti dell'intimo sotto di esso. Avrebbe voluto slacciarselo immediatamente, ma era letteralmente paralizzata, troppo persino per riuscire a muoversi. Alle sue orecchie giungevano parole sconnesse quali omicidio, veleno, colpevole, ma al momento non riusciva ad attribuirvi un senso. Stava lì, immobile, aspettando che l'incubo passasse.
    Lily James as Adrienne Dantès © les misérables rpg
     
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    Laerte è ben felice di incontrare Will, anche se temo che Adrienne glielo porterà via presto xD



    Laerte Grimaldi
    26 anni - Musicista Vagabondo - Londra - Viaggiatore
    “Ultimate freedom. An extremist. An aesthetic voyager whose home is the road.„
    D
    urante ogni viaggio Laerte si sentiva come un bambino alle prese con le sue prime esperienze sensoriali. Anche se il mondo era lo stesso nel quale egli viveva, l'uomo non poteva fare a meno di notarle quelle piccole sfumature che lo rendevano, in realtà, differente. Egli desiderava assaporare ogni differenza, desiderava coglierne ogni dettaglio per comprenderlo e sentirlo vivere sulla propria pelle. Si approcciava in tal modo entusiasta ad ogni salto temporale e non vedeva perché questa volta dovesse essere diverso. L'uomo era animato da uno spirito propositivo per quanto concerneva la sua condizione di Viaggiatore che non lasciava adito a dubbi o incertezze. Non aveva mai provato il timore di non riuscire più a tornare nella propria epoca, e anche se quella notte era consapevole di essersi spinto oltre, di aver chiesto forse troppo alla propria capacità, tanto che lo aveva spedito non in un altro tempo, ma in un altro luogo, in una sorta di realtà parallela, Laerte non dubitava che sarebbe riuscito a tornare a casa. Perché a casa c'erano i suoi fari che lo richiamavano e gli impedivano di perdersi nel tempo e, ora, nello spazio. C'erano i suoi amici: l'uomo, dopo essere letteralmente sbocciato nel collegio in Svizzera, aveva sviluppato uno spirito amichevole che lo portava a farsi amare da chiunque lo incontrasse. Aveva dunque una cerchia di amicizie estremamente numerosa e sparsa per tutto il globo, grazie anche agli ultimi anni che egli aveva trascorso on the road, viaggiando senza una meta, solo con la propria chitarra sulle spalle e la forza delle sue braccia come merce di scambio per vitto e alloggio. Era stato in ogni angolo del mondo, dalla Thailandia, dove, coincidenza, aveva incontrato Ken, londinese, destinato a divenire un amico intimo, alla Cambogia, dove aveva approfondito la conoscenza di alcuni strumenti musicali capaci di riprodurre il suono della pioggia. Ovunque andava, Laerte stringeva rapporti. C'era un'espressione, utilizzata da Papa Francesco, che lo aveva particolarmente colpito: il Pontefice aveva parlato di costruire ponti tra Stati ed egli credeva che il suo reputarsi un cittadino del mondo facesse proprio questo. Laerte, per quanto sentisse la propria appartenenza all'Italia, si reputava quasi privo di Patria, poiché l'intero mondo era la sua Patria. Nato a Milano, collegio in Svizzera, università in Inghilterra. Poi anni di viaggi attorno al globo, e infine Londra. Ovunque egli andasse, si sentiva a casa, si sentiva accolto, probabilmente anche per gli occhi con i quali vedeva il mondo e per il suo rispetto nei riguardi dello stesso. Più Laerte si allontanava dalla cultura che lo aveva cresciuto, più veniva animato dal desiderio di conoscere. Non c'era arroganza nella sua attitudine da viaggiatore, solo curiosità e sete di conoscenza. Nutriva un profondo rispetto per ogni cultura, per ogni tradizione ed era questo rispetto che gli permetteva di conoscere come pochi altri turisti riuscivano. Forse perché Laerte non si poteva definire un turista, quanto più un visitatore. Nonostante quindi il suo istinto all'avventura lo spingesse a non fermarsi mai e a toccare ogni luogo sul pianeta, egli tornava sempre. A Londra c'era Evanna. C'erano Winnie, e Aline, e Emmaline. C'erano i suoi affetti più cari e, sebbene l'uomo avesse tagliato i ponti con i propri genitori, il suo cuore non si poteva definire vuoto. Carlotta e Ambrogio Grimaldi non erano stati dei buoni genitori, e anche ora che suo padre era in prigione per falso in bilancio e frode, e sua madre era sprofondata ancora di più nella depressione, seguitavano a mantenere la loro facciata snob. Non approvavano le scelte di vita dell'unico figlio: sin dalla facoltà prescelta avevano storto il naso. L'erede dei Grimaldi studente di Filosofia? Ambrogio avrebbe voluto una carriera differente per il figlio, ma su quel punto si erano accordati: Laerte non avrebbe scelto un'università privata, e mai avrebbe pensato all'ambiente élitario di Cambridge, ma Ambrogio era stato irremovibile. Così Filosofia era stata accettata solo se Laerte avesse frequentato Cambridge. Il musicista aveva ceduto al compromesso, ma, alla fine, non si era pentito di aver frequentato quell'ateneo. Superata l'iniziale diffidenza con la quale i suoi colleghi lo guardavano (come unico figlio del magnate industriale milanese, in molti si aspettavano di vedere in Laerte il classico rampollo figlio di papà che bene si sarebbe accompagnato a quel campus), ma lo spirito fuori dagli schemi dell'uomo era riuscito a fare breccia anche in quell'ambiente altolocato.
    Laerte non temeva di rimanere bloccato in quell'universo e dunque, privo di paure o inibizioni, si concentrò immediatamente sulla conoscenza di quel mondo. Aveva udito stralci di conversazioni, quindi aveva dedotto di trovarsi in una sorta di realtà alternativa nella quale la Rivoluzione Francese non si era verificata. O forse era fallita. Fatto era che, anche ripulendo i passeggeri della nave dei loro costumi allegorici, si percepiva una netta distinzione di classe. Aveva udito menzionare titoli nobiliari e non credeva che fossero stati evocati solo per la notte del 31 Ottobre. Sua madre, Camilla, era convinta che i Grimaldi fossero in qualche modo imparentati con i Grimaldi di Monaco. Non era vero, e ne avevano la prova concreta poiché la donna, dopo aver conosciuto Ambrogio ed aver preso il suo cognome, aveva ordinato la ricostruzione dell'albero genealogico nella speranza di poter vantare un simile legame. Ma, nonostante la delusione, Camilla nel suo ambiente, nella Milano dabbene, seguitava a lasciar intendere che, sì, la famiglia di suo marito avesse a che fare con la famiglia regnante del Principato di Monaco. Non mentiva apertamente, perché non confermava, né negava. Sussurrava solo mezze parole e si affidava alle deduzioni del suo interlocutore. Laerte quindi non poté fare a meno di pensare alla genitrice e di immaginarla calata in quella realtà. Non c'erano molte persone in quel corridoio e l'uomo immaginò che, vista l'ora, fossero quasi tutti a cena. Un costume lo colpì: vi era un passeggero travestito da Loki, leggendaria figura del pantheon norreno. Decise quindi di avvicinarglisi per cercare di cogliere ulteriori dettagli circa quel luogo.
    «Buonasera» esordì. Se ormai il suo inglese era privo di qualsiasi sfumatura d'accento, altrettanto non si poteva dire del suo francese, lingua che non allenava così spesso e che quindi trasudava le rotondità dell'italiano. Essendo entrambi comunque idiomi latini, la differenza di pronuncia non risultava poi eccessivamente marcata. «Siamo stati fortunati: il tempo è clemente stasera» commentò. Un intercalare di circostanza per raccogliere le informazioni necessarie in previsione del proseguimento della conversazione. «Bel costume, comunque. Scelta interessante» soggiunse cordialmente.
    Kit Harington as Laerte Grimaldi © les misérables rpg
     
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    Cosimo Alighieri
    25 anni - Borghesia - De Medici (Firenze) - Banchiere

    “La vita abbatte e schiaccia l’anima;
    l’arte ti ricorda che ne hai una.„

    C
    osimo si era ritrovato a Parigi per puro caso; uno dei clienti più importanti della loro banca si era recato nella capitale francese a trovare alcuni parenti e qui gli era stato proposto di portare alcuni affari ma l'uomo non se l'era sentita di prendere decisioni in solitaria; così, Cosimo era stato inviato in loco per offrirgli assistenza. Oberato dal lavoro, il banchiere fiorentino non aveva avuto modo di visitare la città e quella era la sua ultima serata a Parigi: il giorno dopo, infatti,s arebbe ripartito per l'Italia, poichè altri clienti lo attendevano nella penisola. Quella, di conseguenza, era l'ultima occasione per assaporare il clima di una città che difficilmente arebbe potuto rivedere.Non sono nemmeno riuscito ad andare a trovar Lucrezia pensò amareggiato: sapeva che la terzogenita del Principe di Lodi non aveva più fatto avere sue notizie alla sua famiglia poichè, pur vivendo lontano dal Principato, egli veniva puntualmente informato di quanto accadeva nei territori dei Neviani dal Principe Ereditario. Lui e Cesare non erano cresciuti assieme ma, seppur lontani, il loro rapporto di amicizia era solido e non era raro che il nobile confidasse a Cosimo i suoi timori circa la condizione di Lucrezia. Il suo matrimonio con un nobile francese era stato combinato da Rodrigo Neviani per garantire al Pricnipato un esercito, ma sin dal primo momento in cui l'aveva visto, Cosimo aveva considerato Adalgisio un pessimo partito dal punto div ista umano. E sebbene egli non desiderasse sposare Lucrezia, non era riuscito a non pensare che lui, per quanto borghese, sarebbe stato un aprtito migliore per la ragazza, quantomeno dal punto di vista umano. Ma nei giochi di ptoere le amicizie e lesimpatie erano un fattore del tutto irrilevante. Cosimo era sicuro, in ogni caso, che Cesare non gli avrebbe mai perdonato quel viaggio a Parigi: il fatto che vi si fosse recato da solo, senza avvertirlo e che non si fosse assicurato dello stato di salute di Lucrezia avrebbe creato motivi di screzio tra loro e poco sarebbe importato se era stato sommerso da questioni burocratiche. Così, Cosimo avrebbe fatto ciò che sapeva fare meglio: avrebbe omesso quel dettaglio e avrebbe evitato di transitare da Lodi als uo ritorno dalla Francia, per quanto gli pesasse l'idea di non andare a salutare Cesare.

    Non potendo visitare la città di notte - avrebbe potuto, ma il suo cuore avrebbe sofferto nel vedere le grandi architetture solo di notte e non alla luce del sole - Cosimo aveva deciso di prendere parte ad un evento che mischiasse le varie classi sociali in onore di Halloween- Non era mai stato un uomo legato alle convenzioni sociali: essendo un banchiere arricchito, egliaveva una mente aperta e un atteggiamento molto disponibile, per quanto a tratti opportunista. Quella sera aveva acquistato uno dei biglietti più costosi, quello che gli permetteva di accedere anche ai piani della nobiltà nonostante fosse solo un borghese: egli voleva, infatti, avere libertà di movimento all'interno della nave, senza rischiare di essere relegato ai piani più bassi. In cuor suo, infatti, sperava di riuscire ad incrociare Lucrezia. Per quello che ne sapeva, ella poteva anche non aver preso aprte a quell'evento: era aperto a chiunque e Cosimo era dell'idea che a Lucrezia sarebbe potuto piacere, ma non era detto che il marito le avesse dato la possibilità di parteciparvi. Ricordava con chiarezza cristallina, il giovane borghese, un grande ballo tenutosi al Palazzo di Lodi un inverno in cui lui era stato ospite del Principe; non ricordava l'occasione d tale festa, ma era assolutamente irrilevante. I Neviani davano numerosi ricevimenti, ai quali tuttavia Lucrezia, in quanto troppo giovane, non poteva partecipare.. ma ciò non impediva alla ragazza di cercare di spiare quanto accadeva. Cosimo l'aveva scoperta quella volta, quasi per caso: allontanatosi momentaneamente dal salone principale per cambiarsi d'abito - un ospite particolarmente ubriaco gli avea versato addosso un intero calice di vino - se l'era ritrovata davanti. Ovviamente, non aveva fatto la spia, poichè non era nella sua natura. Infatti, per quanto Cosimo avesse legato maggiormente con Cesare, non aveva mai fatto nulla per inimicarsi la più giovane di casa Neviani: non erano nemici, lui e Lucrezia e si rispettavano a vicenda; inoltre, avevano qualcosa in comune... o meglio qualcuno: Cesare. In più di un'occasione Cosimo si era scoperto geloso di Lucrezia, proprio in virtù di quel legame: Cesare mostrava un'affetto smisurato nei confronti della sorella, a tal punto che il Principe Ereditario semrbava in grado di sciogliersi solamente in sua presenza. Generalmente incapace di mostrare - e, probabilmente, di provare - sentimenti, Cesare si trasformava in presenza della sorella, a tal punto da arrivare a perdere la sua proverbiale calma se qualcuno osava anche solo pensare di avvicinarsi a lei. E a Cosimo spettava sempre l'arduo compito di sedare l'animo di Cesare, in quelle circostanze. Anche al matrimonio di lei, per quanto si fosse ripromesso di rimanere in disparte, alla fine il borghese era dovuto intervenire. E sapeva che, presto o tardi, avrebbe dovuto farlo di nuovo. Cesare era già stato a Parigi senza di lui e Cosimo era convinto che, presto o tardi, vi sarebbe ritornato e avrebbe preteso di vedere la sorella, suscitando l'ira di Adalgisio.

    Il banchiere fiorentino si trovava sul ponte più alto della Marie Antoinette quando si era sparsa la voce della morte di una facoltosa donna francese: la notizia era diventata talmente virale che persino lui, che veniva da un'altro stato, era riuscito a comprendere la gravità dei fatti. Cosimo, infatti, conosceva diverse lingue - inseguendo l'infantile sogno di espandere il domiio degli Alighieri e di far conoscere il suo nome fuori dall'Italia, aveva studiato anche altre lingue - ma non in maniera approfondita: era una conoscenza basilare, che gli permettese di esprimersi correttamente e di essere compreso senza sembrare un completo idiota e non perdere di credibilità. Ma, avendo studiato per affari, gli veniva molto più semplice formulare frasi complesse relative al suo ambito lavorativo piuttosto che risptto alla vita di tutti i gironi e, di conseguenza, aveva impiegato più del dovuto per comprendere cosa era successo. Aveva domandato a chiunque capitasse sulla sua strada informazioni e, pur non essendo riuscito a comprendere la classe sociale di apaprtenenza di costei, era riuscito a inquadrare a grandi linee la situazione. Stava ancora girovagando per il ponte più alto, pronto a racimolare altre informazioni, quand'ecco che il suo sguardo era ricaduto su una ragazza seduta a terra e rannicchiata su sé stessa. Per istnto più che per una reale empatia, Cosimo le si era avvicinato, flettendo le ginocchia così da accovacciarsi davanti a lei. Signorina, sta bene? le aveva domandato con calma, in un francese non esente da accenti, senza azzardassi a toccarla: gli sembrava spaventata e riteneva che un contatto fisico improvviso avrebbe potuto spaventarla ulteriormente. A tal proposito, abbasso nuovamente sulle spalle il cappuccio del costume che indossava e che gli era ricaduto sul capo mentre si abbassava. Lo aveva preso a nolo in un negozio lì nella capitale, non avendo preventivato di partecipare a feste in maschera quando aveva lasciato Firenze;non aveva idea del personaggio che avrebbe dovuto interpretare, dato che la sua scelta era ricaduta su una mera questione pratica: quel costume era l'unico della sua taglia che era riuscito a trovare.
    Richard Madden as Cosimo Alighieri © les misérables rpg

    Siccome l'altra utente ha lasciato il GdR, per non obbligarti a rinunciare alla Quest con uno dei due pg perchè Will purtroppo non si può sdoppiare!, come da te suggerito ne ho portato un altro dei miei :shifty: ...ho dato per scontato che questo viaggio avvenisse prima di quello di Cesare e Cosimo per non incasinare tutto, spero vada bene^^ Per rendere più comoda la turnazione, potremmo fare:
    Laerte - Cosimo - Adrienne - William così non ci toccano post a due a due!^^
     
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    Perfettooo :shifty:



    Adrienne Dantès
    23 anni - Borghesia - Anfisbena - Sarta
    “Due pezzi di puzzle. Fatti l'uno per l'altro. Da qualche parte del cielo un vecchio Signore, in quell'istante, li aveva finalmente ritrovati. «Lo dicevo Io che non potevano essere scomparsi.»„
    A
    drienne era certa che se avesse avuto a disposizione dei ferri, un uncinetto, o anche un ago quel momento di puro panico sarebbe scomparso presto. Cucire la aiutava a rilassarsi, ad allontanare quegli strascichi di un passato doloroso dal quale cercava di allontanarsi. Parigi l'aveva accolta, Parigi l'aveva adottata e le aveva dato una nuova casa, un nuovo scopo. Aveva fatto di lei una donna, strappandola alla fanciullezza, ma, purtroppo, il potere di Parigi non era così vasto. Non poteva cancellare con un colpo di spugna quelle cicatrici ed Adrienne era costretta a portarsele appresso. Le nascondeva dentro di sé, così come nascondeva i segni sulle mani con i guanti, poteva fingere che non ci fossero più, ma la verità era che quei segni l'avrebbero seguita per sempre. Poteva imparare a non lasciarsi condizionare dagli stessi, ma non poteva liberarsene. Non sempre trovarsi circondata da una moltitudine di persone le creava problemi, altrimenti non si sarebbe trasferita nella capitale francese, ma probabilmente la calca frenetica del ponte riservato alla terza classe aveva avuto il potere di evocare in lei quelle memorie sopite. Essere risalita, comunque, sembrava essere stata una buona idea poiché la frescura della notte stava accarezzando il suo volto accaldato ed Adrienne cominciava a sentirsi meno schiacciata. Sentì le spalle rilassarsi e le mani smisero di bruciare. Abbassò lo sguardo sui suoi palmi, nudi, e osservò le cicatrici della crocifissione. Le aveva viste così spesso in quegli anni e avrebbe saputo riprodurle a memoria. Aveva seguito il loro processo di guarigione: sua madre si era presa cura di quei segni. Personalmente li aveva medicati e Adrienne l'aveva sentita piangere, certe notti, incolpandosi per quanto successo alla figlia. Ella, invece, non incolpava nessuno se non il fanatismo, la superstizione, la chiusura mentale degli abitanti di quel villaggio. Sua madre non aveva di certo alcuna colpa. Le mani, per Adrienne, erano di vitale importanza: erano il suo lavoro. Come per un mastro costruttore, come per un artista, Adrienne si manteneva con il lavoro manuale, senza quello, sarebbe stata perduta. Cucire la manteneva ed era una professione che la appassionava, che la stimolava. Non riusciva a vedersi calata in nessun altro contesto all'infuori di quello nel quale già si trovava. Credeva che, se fosse stata costretta, si sarebbe adattata, ma probabilmente non sarebbe stata felice. Il suo sguardo passò dalla cicatrice ad alcuni piccoli tagli che segnavano le sue dita. Aveva mani da sarta e chiunque, se le avesse viste, avrebbe potuto intuire quale fosse il suo lavoro. Ma Adrienne non mostrava quasi mai quella porzione di pelle: le cicatrici sui palmi sollevavano domande, quesiti ai quali Adrienne non desiderava rispondere, e dunque era meglio coprire. Si rese conto di aver ripreso a concludere pensieri razionali, mentre il ricordo del suo passato si faceva via via più flebile. Nelle orecchie non aveva più le grida di insulti e ricominciava ad udire la musica suonata sul ponte di prima classe. Si sentì anche meno costretta nel suo corsetto e riuscì a regolarizzare il suo respiro. Le sue mani tremavano ancora, ma erano spasmi più contenuti, e presto avrebbero ritrovato la loro solita fermezza. La sarta si stava concentrando su quelle ritrovate sensazioni, sul suo ritorno alla realtà, quando una voce si insinuò nella sua mente, portandola ad alzare il capo per osservare in volto il suo interlocutore. L'ultimo desiderio della donna era quello di dare spettacolo, di attirare l'attenzione, ma come poteva pretendere che nessuno si accorgesse di lei, che si trovava accucciata in un corridoio? Assottigliò le labbra, imponendosi di abbandonare gli ultimi strascichi di quegli istanti che aveva appena vissuto ed annuì. Spinse gli angoli della sua bocca ad incurvarsi verso l'alto, in un abbozzo di sorriso che voleva essere rassicurante, ma che probabilmente appariva più tirato che sereno.
    «Sto bene, grazie» sussurrò rilassando le spalle, ancora tese. Aveva imparato anni prima a professare di stare bene anche quando, in realtà, così non era. Ma Adrienne non posava mai il proprio peso sulle spalle di altre persone, ed era meglio sorridere e fingere che fosse tutto a posto piuttosto che raccontare ciò di cui era stata vittima. Così con leggerezza tornò in piedi, nascondendo le mani nelle pieghe del costume ed elargendo un nuovo sorriso, ora più convinto, all'uomo che si era interessato a lei. «Avevo solo bisogno di un po' d'aria» soggiunse. Non aveva mentito: si era allontanata dalla pista da ballo realmente per necessità di prendere una boccata d'ossigeno. Lo sguardo della donna, probabilmente influenzato da una marcata deformazione professionale, non poté che sostare sul camuffamento dell'uomo. Non conosceva il personaggio interpretato, ma riconosceva la fattura dell'abito. Lasciò dunque che fosse quel dettaglio a fornire l'appiglio per cambiare argomento e scostare l'attenzione da sé. «È un bel costume» rilevò, dunque, dopo un istante di silenzio. «Ma temo di non conoscere il personaggio rappresentato... Chi siete?» domandò sollevando lo sguardo dall'abito per portare i suoi occhi su quelli dell'uomo. Era palese che il soggetto della domanda era il personaggio raffigurato e il suo quesito non era rivolto a conoscere l'identità dell'uomo. Considerando l'area della Marie Antoinette ove si trovava, reputava che il suo interlocutore fosse un esponente della nobiltà o del clero. Poteva anche essere un alto ufficiale: sebbene le sembrasse giovane, quasi un suo coetaneo, non poteva escludere che fosse un uomo dell'esercito. Sebbene Adrienne fosse consapevole di quale fosse il suo ruolo nella società, ella era portata a relazionarsi al prossimo non tanto in virtù di un titolo o dei privilegi goduti dalla nascita, quanto più a seconda dell'atteggiamento della persona stessa con la quale ella si stava relazionando. E dunque vi era del distacco nel suo tono di voce, ma non sottomissione. Quella, Adrienne non riusciva a farla sua.
    Lily James as Adrienne Dantès © les misérables rpg


    Quindi il nuovo ordine potrebbe essere Adrienne - Will - Cesare - Cosimo? ♥
     
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    Yep, quello è il nuovo ordine: Adrienne, William, Laerte e Cosimo <3



    William Shakespeare
    30 anni - Aristocrazia - Anfisbena - Conte

    “Sei tu la parte migliore di me stesso, il limpido specchio dei miei occhi, il profondo del cuore,
    il nutrimento, la fortuna,
    l’oggetto di ogni mia speranza,
    il solo cielo della mia terra, il paradiso cui aspiro.„

    D
    a una parte , William si riteneva fortunato ad aver scampato quella cena: se fosse stato presente, egli sarebbe ricaduto indubbiamente tra i sospettati e, una volta calata la maschera, difficile sarebbe stato per lui scindere la figura del Conte D'Artois da quella di Shakespeare: si era risparmiato inutile grattacapi e la scomoda posizione di sospettato che avrebbe potuto portare vantaggi indicibili a sua moglie. Ella, infatti, avrebbe potuto cercare - nonostante le sue precarie condizioni di salute - di avicinare di più a sé sua figlia, facendo leva sul fatto che William risultava inaffidabile: sarebbe stato sospettato di omicidio e forse mai condannato ma, indubbiamente, Lucille lo avrebbe definito inaffidabile. Quale uomo d'onore lasciava morire così un suo commensale senza poi assicurare il vero colpevole alla giustizia? Facendo appello a quel fatto e all'insolito atteggiamento di William, che lasciava che la loro unica figlia giocasse con i figli della servitù o con i bambini del popolino piuttosto che coi figli delle famiglie borghesi che abitavano tra le vie della città sotto il controllo dell'Anfisbena, pur essendo segregata in casa la donna avrebbe potuto fare appello alle sue conoscenze per strappare la bambina alle cure del marito. Certo, quella società dava a William molto più potere di quanto non ne desse a Lucille, ma l'uomo aveva sempre avuto la sensazione che sua moglie, dietro quel fisico debole nascondesse un carattere da vipera tutt'altro che indifesa. Avrebbe potuto chiedere a qualche uomo di chiesa di intercedere per lei per screditarlo ancora di più, magari convincendolo a rinunciare al ruolo che aveva lì, in Francia, per tornarsene in Inghilterra. Ma se mai WIlliam avesse preso quella decisione, avrebbe portato la piccola Cècile con sé: non la avrebbe mai lasciata nelle grinfie di una donna che non riusciva ad amare quel concentrato di dolcezza per ciò che era e che voleva incatenarla ad un ruolo che non le si addiceva. Perchè Cècile era nata nobile, ma aveva ereditato dal padre un animo borghese più libero e curioso che non impostato e altezzoso. Era una bambina fondamentalmente buona, incapace di concepire le differenze sociali, una di quelle creaturine che non faceva altro che domandare a suo padre perchè non tutti i bambini potevano avere dei bei vestiti come i suoi, andare a cavallo, lavarsi ogni giorno o mangiare ciò che preferivano. Quell'animo puro sarebbe stato soffocato dalle convenzioni sociali troppo in fretta senza l'intervento di William e il mondo avrebbe perso una perla rara, preziosa; e il borghese divenuto nobile non intendeva far appassire anzitempo un fiore del genere. Proteggere Cècile era il suo dovere, ma non solo: era anche ciò che lui voleva più di ogni altra cosa, poichè amava quella creatura più di sé stesso, più di quanto non avesse mai amato chiunque. Fosse stato per lui avrebbe rinunciato a tutti i suoi possedimenti pur di poter rimanere con sua figlia. Non gli importava nulla del titolo, dei possedimenti: egli credeva che vi fosse al mondo qualcosa di più importante e spirituale, che andava protetto ad ogni costo. Era dunque ben contento di aver salvaguardato la sua figura da possibili scandali legati al delitto avvenuto durante la Crociera. Dall'altro lato però, sapeva cosa lo avrebbe atteso a casa: domande. Lui e Lucille quasi non parlavano, ma era sicuro che la donna non avrebbe perso l'occasione per domandargli dove fosse stato anzichè recarsi alla cena alla quale era stato invitato. La donna non sapeva delle sue uscite notturne, non sospettava, ma forse ella aveva intuito qualcosa, più di quanto volesse lasciar intendere. E anche se la servitù era dalla sua parte, William sapeva di non poter abbassare la guardia, vista con quanta facilità si lasciava corrompere l'animo umano. E se Lucille avesse scoperto che egli era rimasto sul ponte dedicato alla borghesia forse non avrebbe pensato a lui come ad un rivoluzionario - dettaglio che avrebbe potuto fargli perdere molto più di un titolo nobiliare - ma avrebbe potuto sospettare di quell'insano interesse che egli aveva sviluppato per una donna che conosceva appena. Il suo sguardo era caduto su quella figura minuta per caso, in un colpo d'occhio rapido e inevitabile. Non era per secondi fini che si era fermato quella notte ma dopo averla riportata a casa inevitabilmente la sua mente era tornata a pensare a lei. Ma indugiare su quei pensieri, in quel momento, gli era nocivo e di sicuro non lo avrebbe aiutato poichè, in prima istanza, egli aveva bisogno di capire se desiderava realmente impegnarsi nel cercare il colpevole - o, perchè no, i colpevoli - dell'omicidio avvenuto durante la cena o se lasciare che se ne occupassero le autorità e dedicarsi alla sua ricerca. Sarebbe stato un comportamento egoista, un'onta sul suo onore, ma egli sentiva una fortissima spinta in quella direzione, forse perchè pr anni aveva represso quella parte di sé, quell'animo così ripieno di passione, rimasto assopito e impossibilitato a mostrarsi al mondo. Così tanto da dare, nessuno disposto a riceverlo nella sua bellezza: quanto amore egli aveva sprecato poichè accecato dall'ideale? Infantile risultava spesso il Conte d'Artois nonostante i suoi trent'anni, innamorato di favole a cui faticavano a credere pure i bambini; ma come reprimere un animo romantico e ricolmo di passione come il suo non gli era mai stato insegnato.
    Mentre indugiava su quei pensieri, combattuto tra le due anime che convievano da sempre in lui, William venne distratto da una voce. Straniero in terra straniera, egli non potè non notare il lieve accento che caratterizzava la pronuncia dell'uomo che gli si era avvicinato. "Buonasera" replicò, accompagnando il suo saluto con un cenno del capo, mentre si staccava dalla parete per voltarsi completamente verso l'uomo, ammirandone la fattura del costume: in pochi avevano scelto abiti simili per avventurarsi sulla Marie Antoinette. "Il tempo è sicuramente più clemente dell'uomo questa sera" affermò quasi senza pensarci, lasciando che le parole sfuggissero alle sue labbra, incontrollate come sempre; la sua mente indugiava ancora su quell'omicidio e sebbene egli non sapesse se l'uomo avesse udito i mormorii, i bisbigli, e il vociare più o meno intenso che aveva scosso l'intera imbarcazione, non era riuscito a trattenersi, non davanti alla brutalità dell'uomo. Egli, per primo, era un uomo mosso dall'ardore dei sentimenti e, quando cedeva ad essi, egli abbandonava ogni cosa, persino il dovere e l'onore che tanto gli erano cari. Comprendeva dunque le varie ombre che tingevano il cuore dell'umanità, ma egli riteneva l'omicidio una barbarie che non avrebbe mai compiuto se non costretto, se non per salvare sé stesso: non aveva forse risparmiato l'amante di sua moglie anche se per levare quell'onta dal suo onore gli sarebbe stato concesso? Non aveva nemmeno ripudiato Lucille, tenendola in casa nonostante il loro matrimonio fosse fallito ancor prima di iniziare. "La ringrazio: temo che la scelta sia stata tutta del sarto che ha sbagliato l'ordine" ammise, mentre un sorriso divertito tirava le sue labbra, ben visibili fuori dalla maschera. William viveva a Parigi da dodici anni, ragion per cui il suo accento ormai non si notava, se non quando egli desiderava che venisse udito e, dunque, non si concentrava per cammuffarlo; ma, in quel frangente, si era guardato bene, quantomeno all'inizio della conversazione, dal mostrarlo, più per abitudine che per altro: si trovava comunque sul ponte dell'aristocrzia, sarebbe stato poco saggio. Nel sentire il suo inerlocutore con quell'accento, tuttavia, fu inevitabile per lui pronunciare l'ultima frase senza volontà alcuna di celare il suo: in fondo, quella crociera era aperta a chiunque potesse permetterlo e, per quanto poteva saperne lo sconosciuto, egli sarebbe potuto essere qualcuno capitato a Parigi in quel periodo per altri affari e che aveva deciso di concedersi una pausa. "Mi perdoni se sono indiscreto, ma nemmeno voi siete di Parigi, nevvero?"
    Tom Hiddleston as William Shakespeare © les misérables rpg
     
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